CURE GIRL’S Lolly and Sabrina’s Brazilian Mission for Spinal Research

 

LOLLY & SABRINA ON MISSION Cure Girl Lolly is from the UK and Cure Girl Sabrina is from Brazil. The girls will be getting together in Brazil to do some filming, fundraising and raising awareness.. spreading the CURE message.

After a night out with friends a freak incident occurred which left Lolly paralysed. Sabrina was on a simulated ‘air surf’ which went terribly wrong and left her paralysed.

Lolly and Sabrina are very similar, not only in having the same level SCI C4/5 but also in SPIRIT. They have amazing family and friends and they love to have fun and love life. They also strive everyday to support research and cure so they can regain their independence.

At the moment in Brazil there isn’t a charity which raises funds for medical research into spinal cord injured people so they have both chosen to raise money for SPINAL RESEARCH UK.

Spinal Research is the UK’s leading charity funding medical research around the world to develop reliable treatments for paralysis caused by a broken back or neck.

Every year, 1,000 people in the UK and Ireland are paralysed following an injury to their spinal cord. Spinal Research raises money to fund research into clinical treatments as well as vital basic science research. Thanks to such pioneering research, paralysis can now be treated and we stand on the brink of applying therapies that will restore movement and feeling and transform the lives of paralysed people.

HELP US!  Click here to donate. Donating is simple, fast and totally secure. Your details are safe with JustGiving – they’ll never sell them on or send unwanted emails. Once you donate, they’ll send your money directly to the charity. So it’s the most efficient way to donate – saving time and cutting costs for the charity.

Cure Girls

La Sindrome di Stoccolma e la Lesione Spinale.

In questi anni mi sono chiesta molte volte perché le persone affette da paralisi dovuta a lesione al midollo spinale non si siano quasi mai veramente attivate per supportare la ricerca di una cura a differenza di quanto fatto invece da chi convive con patologie simili, come ad esempio la Sclerosi Multipla.

Ho personalmente constatato che in pochi si interessano o supportano davvero la ricerca, quasi come soffrissero di una sorta di  Sindrome di Stoccolma da mielolesione.

Per chi non lo sapesse, la sindrome di Stoccolma è un processo psicologico inconscio che promuove relazioni affettive inverosimili fra vittime di sequestro e rapitori. Gli ostaggi finiscono per simpatizzare con i loro sequestratori, arrivando al punto di considerarli non dei delinquenti ma bensì degli amici.

Si evidenziano tre frasi principali, la prima in cui gli ostaggi sviluppano sentimenti positivi verso i rapitori, la seconda in cui affiorano dei sentimenti negativi delle vittime verso la polizia, e in fine viene a svilupparsi una reciprocità di sentimenti positivi fra sequestratori e vittime.  Non si conosce per quanto tempo possa continuare, ma si sa che la sindrome di Stoccolma può sussistere a lungo, anche per diversi anni.

Io ho 30 anni e sono paraplegica, cioè paralizzata dal petto in giù, da quasi 13, ma fin dall’inizio il mio obiettivo è stato quello di non arrendermi alla sentenza di “paralisi perenne” pronunciata dai medici.

Ho affrontato la cosa in molte fasi, ad esempio durante i primi mesi post trauma midollare dedicavo ogni minuto del mio tempo alla fisioterapia, convincendomi che l’impegno e la mia forza di volontà mi avrebbero permesso di tornare a camminare.

Nei mesi successivi però, con lo stabilizzarsi della mia condizione, realizzavo come la situazione purtroppo non fosse temporanea, e che il “non camminare” era solo una delle molteplici conseguenze della mielolesione (nemmeno la più terribile) ma, soprattutto, capivo che la mera forza di volontà non sarebbe bastata.

Col passare del tempo ho continuato la fisioterapia e ho sempre cercato di affrontare la vita con “un sorriso”, tentando di fare ciò che potevo per continuarla al meglio delle mie possibilità, ma ciò non significa che quanto accaduto mi stesse bene, il mio obiettivo principale infatti è rimasto sempre lo stesso: poter tornare alla mia vera vita autonoma e indipendente ed è evidente e razionale pensare che solo la ricerca medica potrebbe permettermi di realizzarlo o quanto meno potrebbe restituirmi parte delle funzioni fisiologiche perdute a causa della lesione spinale.

Ma contrariamente a ciò che si possa pensare, non sembra che tutti i mielolesi abbiano come primo obiettivo la CURA della loro patologia (o condizione che dir si voglia), o se ce l’hanno, pare ahimè, che non si impegnino molto per raggiungerlo. Mi spiego meglio.

In questi anni, ho incontrato sempre più persone che invece di incoraggiarmi a lottare per una cura,  cercavano di farmi desistere e mi elencavano quante cose potessi fare comunque nonostante la paralisi, consigliandomi di “adattarmi” ed “accettare” la cosa perché infondo “Si può vivere bene anche in carrozzina”. Se è evidente che alcuni di loro me lo dicessero in buonafede, perché avevano paura che io potessi crollare o illudere troppo, ciò che mi suonava strano era sentirmelo dire da persone mielolese come me e che quindi sapevano cosa volesse dire essere paralizzati, imprigionati in un corpo che non risponde ai tuoi comandi.

Quando tutti ti dicono che non c’è soluzione e ti fanno passare per uno stupido, depresso o illuso solo perché lotti per una cura, la tua forza d’animo traballa e allora per evitare le frustrazioni, gli sguardi compassionevoli, quelli di biasimo etc.. instauri una sorta di meccanismo interno di difesa.

Sviluppiamo l’arte di essere auto ironici, forse inconsciamente tentiamo di far credere agli altri e a noi stessi che siamo forti, che abbiamo saputo reagire e “adattarci” a questa vita e infine, per salvaguardare la dignità che c’è rimasta e darci una ragione per continuare, mostriamo solo una parte della realtà che viviamo, omettendo spesso di raccontare quella che ci fa più male e che ci provoca senso di frustrazione e ci fa sentire inermi, focalizzandoci solo su quegli aspetti che pensiamo essere positivi per noi, arrivando a tentare “imprese assurde” per chiunque, portate avanti non per passione ma solo per dimostrare non si sa bene cosa e a chi, allontanando da noi tutto ciò che ci lascia intravedere una reale speranza ma pensiamo, possa incidere negativamente sull’idea che gli altri hanno di noi, o ci sembrano cose troppo lontane o abbiamo paura non si realizzino mai.

Per un breve periodo credo di aver sofferto anch’io della “sindrome di Stoccolma da mielolesione”.

Alcuni autori ritengono che la sindrome di Stoccolma derivi dallo stato di dipendenza concreta che si sviluppa fra il rapito ed i suoi rapitori; quest’ultimi infatti controllano cibo, aria, acqua e sopravvivenza, elementi essenziali che, da un punto di vista comportamentale, quando vengono concessi, giustificherebbero la gratitudine e la riconoscenza che gli ostaggi manifestano nei confronti dei loro carcerieri. Altri autori, la maggioranza a dire il vero, affrontano invece il fenomeno da un punto di vista più tipicamente psicoanalitico.  In generale, si potrebbe affermare che nel tentativo di trovare un equilibrio fra le richieste istintive ed una realtà angosciosa, non si può far altro che mettere in atto meccanismi difensivi. (Fonte http://www.corriere.it/salute/dizionario/stoccolma_sindrome_di/index.shtml)

Noi mielolesi arriviamo a descrivere il nostro aguzzino, la lesione spinale, come qualcosa che alla fine non ci ha fatto poi così male e invece in un certo senso sviluppiamo un atteggiamento negativo nei confronti della ricerca medica (polizia) che potenzialmente potrebbe restituirci la vera libertà. Di fatto, è come se ci accontentassimo di abbellire e rendere confortevole la nostra gabbia, lottando strenuamente per questo, ma non ci impegnassimo abbastanza per tentare di evadere. Facciamoci qualche domanda: Quanto tempo abbiamo dedicato a comprendere cosa sia davvero una lesione spinale e cosa comporti dal punto di vista medico scientifico, sociale ed economico? Quante pubblicazioni o quanti articoli in merito abbiamo letto? Quanti ricercatori conosciamo se non personalmente almeno di fama, che si occupano di studiare questa patologia? Quanti eventi a favore della ricerca abbiamo supportato? Quanto abbiamo donato? Quante volte invece abbiamo ad esempio fatto il diavolo a quatto perché abbiamo trovato il parcheggio disabili occupato da chi una disabilità non ce l’ha?

sindrome di stoccolma

Come dicevo inizialmente, quello che è singolare è che in altre patologie che hanno parecchio in comune con la nostra, come la sclerosi multipla ad esempio è normale lottare per una cura, anche se al momento non esiste, ma nel “nostro mondo” invece diventa “segno di debolezza”.

Tutti sperano in cuor loro in una cura ma nel frattempo non lottano per supportarne la ricerca, nascondendosi dietro a frasi del tipo: “C’è chi sta peggio di noi”, “Io non sono un ricercatore”; “Non ci cureranno mai perché ci sono troppi interessi economici”, “Quando ci sarà una cura ce lo faranno sapere ma visto che ora non c’è, vivo come posso adesso” etc..

Quasi come se la nostra patologia fosse da considerarsi di “serie B” e che quelli che lottano per la cura come me, non tentassero di vivere la propria vita attivamente ma si “piangessero addosso” e cercassero solo la compassione degli altri.

La mia domanda è: “Perché dovremmo vergognarci di lottare per una cura? Se non lo facciamo noi per primi, perché dovrebbero farlo quelli che con la lesione spinale non hanno nulla a che fare?”

Quando si parla di disabili, il messaggio che passa in tv è quello della “disabilità eroica” proposta ad esempio dalle paraolimpiadi di Londra o dalla concorrente disabile del grande fratello che sostiene che “l’invalidità non è invalidante”.

Salvo rari casi, infatti i mass-media non amano  mostrare tetraplegici allettati e con il respiratore che hanno bisogno di assistenza 24 ore su 24, ma preferiscono fare vedere solo la parte di noi che ai loro occhi risulta “vincente”, e molte volte, siamo proprio noi che ci prestiamo, forse perché in un certo senso ci sembra che questa “fama” ci restituisca un po’ del maltolto, ma senza renderci conto che alcune cose che diciamo risultano paradossali agli occhi degli altri che però ci percepiscono “contenti così” e quindi spostano altrove i loro sforzi e la loro voglia di sostenerci a discapito di tutti quelli, la maggioranza di noi, che purtroppo non ha la possibilità di uscire dalla sua prigione  e fare in modo di far sentire la propria voce a causa delle gravi conseguenze che la lesione gli ha causato.

Nel caso della paralisi da lesione spinale infatti, tutto ciò, a mio parere, trasmette un messaggio fuorviante che va contro di noi e spesso nemmeno ce ne accorgiamo, occupati come siamo a mostrarci forti e a non far trapelare le gravi conseguenze che la lesione spinale comporta e che ci rendono la vita una tortura fisica e mentale.

In tutta onestà mi domando: “Perché chi partecipa ai giochi paralimpici è un “eroe” e invece chi lotta quotidianamente per una cura pur cercando di continuare la propria vita è considerato illuso e depresso?”  Da quando “adattarsi” è sinonimo di “lottare”, mentre “non arrendersi” è sinonimo di “debolezza”? Qualcuno mi ha risposto, bisogna sapere quando arrendersi per vincere. Ma da quando arrendersi significa “vincere”?

Certo, “la vita continua” e chi può tenta di portarla avanti al meglio ma, citando una famosa canzone di Ligabue, mi verrebbe da dire: “Chi si accontenta gode così, così”. Forse non ci ricordiamo o non vogliamo ricordare più com’era la nostra vita quando eravamo indipendenti, quando potevamo decidere di andare in bagno come e quando volevamo senza ricorrere a cateteri e svuotamenti anali, quando non eravamo costretti a dipendere da altri anche per svolgere azioni banali senza la paura di non avere più nessuno che si occupa di noi e senza provare tristezza per la libertà perduta e rimorso per quella che togliamo a chi ci assiste, quando potevamo sentire il calore del sole o di una carezza sulle nostre gambe, quando fare l’amore significava poter “sentire l’altro” non solo mentalmente, quando le mie amiche e i miei amici tetraplegici non dovevano chiedere ad altri di portare alle loro bocche un bicchiere d’acqua per bere e potevano essere liberi di lavarsi e vestirsi da soli e fare tanto altro ancora.

Forse non ci ricordiamo più cosa pensavamo quando prima di essere mielolesi incontravamo qualcuno seduto su una carrozzina. Ci dispiaceva, perché percepivamo che la vita da paralizzati non era una “bella vita”, ma una vita piena di limitazioni rispetto alle altre.

Se ce ne ricordassimo forse la smetteremo di dire che “Possiamo fare tutto ugualmente” o “Che se potessimo tornare indietro rivorremmo la nostra vita esattamente com’è,  lesione spinale compresa”.

Ma siamo poi così felici di essere come siamo? Abbiamo così paura di lottare che ci accontentiamo delle briciole? Il nostro disperato tentativo di sopravvivere ci ha fatto “adattare” talmente bene alla nostra gabbia che abbiamo deciso che la vera libertà e l’indipendenza nostra e dei nostri cari, non siano poi così importanti?

Forse non siamo poi così diversi dai prigionieri affetti dalla sindrome di Stoccolma che andarono a difendere i loro aguzzini in tribunale, noi scriviamo elogi alla carrozzina e agli esoscheletri dicendo che “grazie a loro non c’è più niente che non possiamo fare”,  mentre spesso non investiamo nemmeno pochi minuti del nostro tempo per informarci e promuovere quella ricerca medica che potrebbe potenzialmente restituirci la nostra vera vita autonoma e indipendente.

Pensiamo che la ricerca offra solo speranza, mentre l’ausilio qualcosa di concreto? Mi domando cosa pensino a riguardo tutte quelle persone che sono sopravvissute solo grazie alle scoperte della ricerca medica.

Ad oggi una “cura” per la paralisi non esiste, ma è stato dimostrato scientificamente che la rigenerazione del midollo spinale é possibile, pare non sia più una questione di sé, ma di quando. Perché non tentare di far accorciare i tempi allora?

Uno non deve mettere i fiorellini alla finestra della cella della quale è prigioniero, perché sennò anche se un giorno la porta sarà aperta lui non vorrà uscire.

Silvano Agosti, Il discorso tipico dello schiavo, 2008

Cure Girl Loredana

 

Barbara: “Pensavo fosse una situazione temporanea”

La storia della nostra Cure Girl Barbara è stata pubblicata sul sito della fondazione austriaca Wings for Life che da anni sostiene la ricerca sulle lesioni spinali.

Qui di seguito troverete la traduzione in italiano. Buona Lettura!

Barbara BucciCome hai avuto la lesione spinale?

Una caduta dall’altalena nel 1987, quando avevo solo 11 anni, ha causato lo scivolamento delle vertebre cervicali che hanno danneggiato il midollo a livello C4-C5.

Qual è stato il tuo primo pensiero dopo l’incidente?

Ero spaventata perché non riuscivo a muovere nulla… ma pensavo fosse una situazione temporanea.

Come è cambiata la tua vita dopo la lesione?

Tutto è cambiato, non posso fare nulla da sola dopo la lesione. 

Quali sono le barriere più grandi nella tua vita quotidiana?

Il fatto che ho bisogno dell’aiuto degli altri per svolgere tutte le azioni necessarie alla vita di ogni giorno.

Quali sono gli aspetti più positivi nella tua vita?

Finora il fatto che non posso fare a meno di sperare che qualcosa possa cambiare in modo positivo in un futuro non troppo lontano.

Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

Direi “camminare di nuovo”… ma dopo 27 anni di tetraplegia, sarei la persona più felice del mondo se solo potessi recuperare l’uso funzionale delle mie braccia e delle mie mani, così non avrei più bisogno di essere assistita.

Cosa speri dalla ricerca per la cura delle lesioni spinali?

Vorrei che la ricerca si muovesse di più verso lesioni spinali croniche; infatti, al momento, la maggioranza degli studi clinici si concentrano sulla fase acuta delle lesioni.*

Come trovi l’idea della Wings for Life World Run?

Credo che sia un evento grandioso, il modo migliore per raccogliere i fondi da destinare alla ricerca e per mettere in luce il problema della lesione spinale, una patologia che comporta gravi conseguenze oltre alla paralisi in sé per sé.

Parteciperei alla corsa o hai degli amici che lo faranno per te?

Non potrò partecipare a questo evento correndo, ma mi sono iscritta lo stesso, così posso contribuire a far sì che la ricerca vada avanti. E finora non c’è nessuno che possa correre per me… a ogni modo, mi piace immaginare che ogni persona che parteciperà all’evento, in ogni parte del mondo, correrà anche per me.

C’è qualcos’altro che vuoi aggiungere?

In questa battaglia non sono sola, sono una delle Cure Girls, un gruppo di donne da tutto il mondo in missione per rendere la paralisi reversibile.

*A breve Wings for life dovrebbe pubblicare un articolo esplicativo riguardante le differenze della lesione spinale nella fase acuta e cronica, nonché i relativi approcci della ricerca.

Our visit to the laboratories of Pharmacology, Department of Science Health, University of Milan

On January 20th 2014 the Cure Girls went to visit the labs of pharmacology of the university of Milan and met with Dr. Daniele Bottai. He showed us the new labs and gave us an interview to explain what his team is working on with regards to a cure for SCI.

1. Can you briefly describe the research that you are doing in relation to spinal cord injury?

When in 2006, I moved at the University of Milan, I have begun to get interested in Spinal Cord Injury (SCI) using a new (at the time) “drug”: neural stem cells. Between 2002 and 2006, I worked in the Laboratory of Professor Angelo Vescovi where I learned to manipulate neural stem cells (from different regions of the brain) both human and mouse.

In these 8 years spent to the University of Milan we have been studying the role of different types of stem cell in transplantation in animal model of SCI, in particular, we have studied the effects of murine embryonic and neural stem cells and human amniotic fluid (AFCS ) with the purpose to find the sources of stem cells that were an available source and with the appropriate characteristics for the treatment of neurological diseases .

In general, we can say that these cellular processes (performed in acute spinal cord lesion) have positive effects and are significant from a functional and morphological point of view. After treatment with the cells listed above, the mice returned to walk (albeit not the same as they did before the lesion); while lesioned not treated animals are able to move their hind limbs, but not to walk. (These results have been summarized in three scientific papers:

D. Bottai, D. Cigognini, L. Madaschi, R. Adami, E. Nicora, M. Menarini, A.M. Di Giulio, A. Gorio (2010).Embryonic Stem Cells Promote Motor Recovery and Affect Inflammatory Cell Infiltration in the Spinal Cord Injured Mice Experimental Neurology 223, 452-463 ;

D.  Bottai , L. Madaschi, A.M. Di Giulio and A. Gorio. (2008) Viability -Dependent Promoting Action of Adult Neural Precursors in Spinal Cord Injury . Molecular Medicine , 14 (9-10), 634-644.

 On the bases of these results, we asked what was the mechanism that caused this improvement.

The answer was that in this model the role of animal cells is purely trophic and they are not going to replace, if not in small portion, damaged or dead cells.

Various are the trophic molecules (cytokines) that are involved in this phenomenon. Recently, we have focused our attention on amniotic fluid cells. We chose this cell type because their availability since the at term cesarean delivery could represent an unlimited source of stem cells with no ethical issues and few risks for the child and the mother.

In a work that a few days ago has been accepted for publication (D. Bottai , G. Scesa , D. Cigognini, R. Adami , E.. Nicora, S. Abrignani, A.M. Di Giulio, and A. Gorio Third trimester amniotic fluid NG2 -positive cells are effective in improving on repair in spinal cord injury. Experimental Neurology.) we have shown that a trophic factor, produced by the AFCS, which is important for the induction of the morphofunctional recovery, was the hepatocyte growth factor (HGF) and that this cytokine was produced only by particular sub- populations of our cells or those expressing on their surface the NG2 protein (a membrane proteoglycan). Such a membrane protein can be hopefully used in the future to select from the amniotic fluid liquid the cells that express NG2 and so have a therapeutic action.

We are currently investigating what is the correlation between NG2 and HGF.

2. Acute injury or chronic injury present any difference for a research approach? Could you explains the differences and the advantages and disadvantages.

I do not think we can talk about differences between acute and chronic lesion in terms of advantages and disadvantages. These are two different pathological conditions, the acute progress into the chronic with the passage of time mostly because there is a de- myelination process.

In this context, we are dealing with two different types of patients the acute ones, namely that a few days or weeks have suffered damage to the spinal cord which have a very extensive inflammatory condition that exacerbates the primary mechanical injury further damaging the tissue and those, who instead, underwent chronic spinal cord injury for more time (months and years) in which degeneration induced by primary damage and the secondary SCI causes the formation of a cavity surrounded by the glial scar that separates the lesion from the undamaged tissue and prevent nerve regeneration.

Currently the researcher and clinician are faced with these types of patients because in the first instance they have not been able to prepare effective therapies to treat acute patients.

The therapeutic approach to the patient who recently underwent spinal damage is intended to reduce the compression state and to control the secondary damage due to inflammation through the drug methylprednisolone, inter alia, that approach does not seem to have a sufficient efficacy, as evidenced by the fact that the number of chronically para or quadriplegics is unfortunately increasing.

In the chronic patient instead we find ourselves facing a very different situation with the blood-brain barrier that is closed, and a glial scar consisting mainly of fibroblasts from the meninges and reactive astrocytes that produce proteoglycans (extracellular matrix molecules) that are responsible for the inhibition growth of axons.

In this situation, the therapeutic approach is vastly different from that prepared in the state of acute spinal cord injury.

In fact, removal (either mechanical – surgical or enzymatic) is a sine qua non con-diction in order to prepare any kind of intervention to restore or replace dead or damaged cells and rebuild the axons making them grow in the appropriate direction.

In this context, the treatment of chronic patients need multiple concurrent interventions:

  1.   Treatment with drugs that induce axonal regeneration;
  2.   Treatment with drugs that reduce the inhibitory effects of glial scar both mechanical and enzymatic chondroitinase that due to factors such as chemical inhibitors, blockers of Nogo and other myelin components;
  3.   Treatment with cells or systems consisting of nanomaterials and cells.

Some of these approaches were ineffective few years ago but in the light of developments in nanomaterials and new types of stem cells I think it might be appropriate to re-examine these pathways.

3. How do you think we can solve the problem of scar?

As I mentioned in the previous answer, in order to find an approach that leads to the recovery of sensory and motor pathways, it is necessary to make the scar area permissive for the survival of cells that are transplanted and that would allow axonal growth in the manner to ensure the recovery of the routes of transmission.

With this in mind, scar removal is definitely needed and should be prepared to minimize the risk of inducing further damage.

In this context, the experimental work in the preclinical phase or with animal models is essential but at the same time very complex given that small animals have practical difficulties of intervention and larger animals have problems is housing costs that are beyond the economical capability of most the laboratories that I know.

Finally, the translation of the results obtained in the preclinical stage is very difficult for a variety of patients such as those with spinal cord injury whose disease is highly variable due to the fact that the damage is very random and therefore leads to differences between the patient and the other.

4. Can you apply your research to Chronic Spinal Cord Injury?

The applicability of the cells in the amniotic fluid in models of chronic spinal cord injury must be verified experimentally, so I can say a priori that such an intervention can be prepared but obviously need the appropriate adjustments of the experimental protocol. In fact, while in the acute model we have a purely trophic action in the case of chronic treatment the intervention should be at the level of local scar in order to determine whether these cells could contribute to modify the scar itself and reconstitute the ways by means of the differentiation in cells central nervous system (neurons, oligodendrocytes and astrocytes) or by inducing endogenous stem cells to differentiate into mature cells. In this context, previous treatment with chondroitinase could improve the success of the experiment.

5. Do you have collaborations with other research institutions ? Which ones?

As I mentioned in our discussion in the institute , I believe that partnerships are the lifeblood of research. In recent years I have had collaborations with various research groups and consortia. Firstly put the FUNGENES: Functional Genomics of Human Embryonic Stem Cells; funded by the European Economic Community, Sixth Framework Programme. (€ 500,000 for 3 years) (in collaboration with Prof. A.L. Vescovi of which I was the deputy). This project was set out to investigate the characteristics proliferative and differentiative of stem cells (especially embryonic). This project involved and brought together about a dozen institutions across Europe and basically was the first step that allowed me to improve my knowledge on stem cells.

– Study of functional recovery induced by transplantation of neural stem cells in animal models of acute spinal cord contusion, funded by Fondazione Cariplo.(€ 300,000 for 2 years) (Coordinator Prof. A.L. Vescovi).

It was a project that introduced me in the world of spinal cord injury, and thanks to Prof. Vescovi, the project that make me chose to continue the research in neurodegenerative diseases

– Neural stem cells: a new approach to mobile spinal muscular atrophy; Asamsi non-profit organization funded by foundations and Families of SMA Italy . (Head with Prof. A. L. Vescovi) .

I am also currently working on the project “Role of stem cells in the treatment of glaucoma” (glaucoma is a neurodegenerative disease) with Professor Mario Luca Rossetti, which conducts clinical and research in my department and with Dr. Valentina Massa (which also works in my department) for a study of neurological disorders.

6. What are the steps needed to translate your result in human?

To start a clinical trial phase 1-2, that provide the safety analysis (which most likely this type of cells have since they belong to the class of mesenchymal which have already been extensively tested in several clinical trials) and effectiveness, our results must be first validated in other laboratories. Subsequently, it will be necessary to derive the cells so that they are compatible with the transplant in humans that means that the cells must satisfy conditions of Good Manufacturing Practice (GMP ) that involves the use of materials “human grade” in order to reduce the risk to the patient (for pathologies as the well- known prion disease such as mad cow disease. This procedure is currently out of our economical availability as it requires economical conditions of sterility and purity that we cannot get unless you build the appropriate laboratories.

7. Is there any particular obstacle that slows down your work?

The current financial situation of our country, where the cuts have affected many strategic sectors of the economy and cultural is experienced by us researchers, with much apprehension. While it is true that funding should be allocated to those who do the research and then excellence must be a prerequisite for this contingency (Italian and international), cuts in recent time unfortunately affected groups or researchers that produce high quality work. So there is now the hope that this trend may change and that organizations and associations (onlus) can help the researcher by funding specific projects.

We thank Dr. Bottai for his precious work and for giving us the opportunity to visit the center and for answering our questions.

Cure Girls Arcangela, Marina and Loredana

 

Visita ai laboratori di farmacologia dell’ospedale San Paolo di Milano – Intervista al Dr. Bottai

Lunedì 20 gennaio le Cure Girls sono state in visita ai laboratori di farmacologia dell’ospedale San Paolo di Milano.

Di seguito potrete leggere l’intervista che ci ha gentilmente rilasciato il Dr. Daniele Bottai.

  1. Dr. Bottai ci descrive brevemente la ricerca che state portando avanti in merito alle lesioni spinali?

“Da quando, nel 2006, mi sono trasferito all’Università degli Studi di Milano ho iniziato ad interessarmi di Lesione Spinale utilizzando un nuovo (a quei tempi) strumento “farmacologico”: le cellule staminali neurali. Avevo lavorato per 3 anni nel Laboratorio del Professor  Angelo L. Vescovi e avevo imparato a manipolare le cellule staminali neurali (cioè provenienti da alcune regioni del cervello) sia umane che di topo.

In questi 8 anni passati all’Università degli Studi di Milano siamo riusciti a studiare il ruolo di diversi tipi di cellule staminali nel trapianto in animali cha avevano subito una lesione spinale, in particolare abbiamo studiato gli effetti di cellule staminali neurali e embrionali murine e umane del liquido amniotico (AFCs) con il proposito di trovare delle fonti di cellule staminali che fossero facilmente reperibili e con le appropriate caratteristiche per il trattamento di patologie neurologiche.

In generale possiamo dire che questi trattamenti cellulari (effettuati in acuto) hanno effetti decisamente positivi e statisticamente significativi da un punto di vista funzionale (motorio) e morfologico. Dopo trattamento con le cellule sopra elencate, i topi tornano a camminare (anche se in maniera non uguale a come facevano prima della lesione); mentre gli animali lesionati e non trattati sono in grado di muovere gli arti posteriori ma non di camminare. Questi risultati sono stati riassunti in 3 lavori scientifici:

Bottai D., Cigognini D., Madaschi L., Adami R., Nicora E., Menarini M., Di Giulio A. M., Gorio A. (2010). Embryonic Stem Cells Promote Motor Recovery and Affect Inflammatory Cell Infiltration in Spinal Cord Injured Mice. Experimental Neurology 223; 452–463;

Bottai D., Madaschi L., Di Giulio A. M. and Gorio A.. (2008) Viability-Dependent Promoting Action of Adult Neural Precursors in Spinal Cord Injury. Molecular Medicine, 14(9-10); 634-644.

In base a questi risultati ci siamo quindi chiesti quale fosse il meccanismo che induceva questo miglioramento nell’animale.

La risposta è stata che in questo modello animale il ruolo delle cellule è prettamente trofico e esse non vanno a sostituire, se non in minima parte, le cellule danneggiate o morte.

Varie sono le molecole trofiche (citochine) che sono coinvolte in questo fenomeno. Recentemente ci siamo concentrati sulle cellule del liquido amniotico. Abbiamo scelto questo tipo di cellule poiché la disponibilità di liquido amniotico da parti cesarei a termine è pressoché illimitata e non presenta problematiche di natura etica ed esigui rischi per il nascituro al momento del prelievo.

In un lavoro che pochi giorni fa ci è stato accettato per pubblicazione (Bottai D., Scesa G., Cigognini D., Adami R., Nicora N., Abrignani S., Di Giulio A.M., and Gorio A. Third trimester NG2-positive amniotic fluid cells are effective in improving repair in spinal cord injury. Experimental Neurology ) abbiamo dimostrato che un fattore trofico, prodotto dalle AFCs, importante per l’induzione del recupero morfofunzionale era il fattore di crescita degli epatociti (HGF) e che questa citochina veniva prodotta solo da particolari sub popolazioni delle nostre cellule ovvero quelle che esprimevano sulla loro superficie la proteina NG2 (un proteoglicano di membrana). Tale proteina di membrana potrà essere, si spera, utilizzata in futuro per selezionare tra le cellule del liquido amniotico quelle che hanno una azione terapeutica. Attualmente stiamo studiando quale sia la correlazione tra NG2 e HGF.”

2.      Ricerca su lesione acuta o su lesione cronica: ci spiega la differenza? Vantaggi e svantaggi.

“Non credo che possiamo parlare di differenze tra lesione acuta e cronica in termini di vantaggi e svantaggi, sono due condizioni patologiche diverse, ovviamente l’acuta progredisce nella cronica con il passare del tempo con un danno che è prevalentemente di de-mielinizzazione.

In questo contesto ci troviamo di fronte a due differenti tipologie di pazienti ovvero quelli acuti e cioè che da pochi giorni o settimane hanno subito il danno al midollo spinale i quali sono in uno stato infiammatorio molto pronunciato che esacerba il danno meccanico primario danneggiando ulteriormente il tessuto e quelli cronici che invece hanno subito il danno spinale da più tempo (mesi ed anni), in cui la degenerazione indotta dal danno primario e quello secondario della SCI causa la formazione di una cavità circondata dalla cicatrice gliale che separa la lesione dal tessuto non danneggiato ed impedisce la rigenerazione nervosa.

Attualmente il ricercatore ed il clinico si trovano davanti a queste due tipologie di pazienti poiché in prima istanza non sono stati capaci di approntare terapie efficaci per trattare i malati acuti.

L’approccio terapeutico per il paziente che da poco ha subito il danno spinale è indirizzato alla riduzione dello stato di compressione e al controllo del danno secondario dovuto all’infiammazione tramite il farmaco metil-prednisolone, approccio fra l’altro che non pare essere di una sufficiente efficacia, come si capisce dal fatto che il numero di para o tetraplegici cronici sta, purtroppo aumentando.

Nel paziente cronico invece ci troviamo di fronte ad una situazione ben differente con la barriera ematoencefalica che si è richiusa ed una cicatrice gliale costituita principalmente da fibroblasti provenienti dalle meningi e astrociti reattivi che producono proteoglicani (molecole della matrice extracellulare) che sono responsabili dell’inibizione della crescita di assoni.

In questa situazione l’approccio terapeutico è enormemente differente da quello approntato nello stato acuto della lesione spinale.

Infatti la rimozione (sia essa meccanico-chirurgica che enzimatica) è condizione sine qua non per poter approntare un qualsiasi tipo di intervento volto a ricostituire o rimpiazzare le cellule morte o danneggiate e a ricostruire gli assoni facendoli crescere nell’appropriata direzione.

In questo contesto il trattamento del paziente cronico necessita di più interventi concomitanti:

1)  Trattamento con farmaci che inducano la rigenerazione assonale;

2)  Trattamento con farmaci che riducano gli effetti inibitori della cicatrice gliale sia meccanici che enzimatici con condroitinasi che dovuti a fattori chimici inibitori come bloccanti di Nogo e altri componenti della mielina;

3)  Trattamento con cellule o sistemi costituiti da nanomateriali e cellule.

Alcuni di questi approcci qualche anno fa sono risultati inefficaci ma alla luce degli sviluppi dei nanomateriali e di nuove tipologie di cellule staminali credo che potrebbe essere appropriato ridiscutere queste vie.”

3.      Come pensate si possa risolvere il problema della cicatrice?

“Come ho già accennato nella precedente risposta, affinché si possa pensare ad un approccio che porti alla ricostituzione delle vie sensitive e motorie, occorre rendere la zona della cicatrice permissiva alla sopravvivenza di cellule che vi vengano trapiantate e che possa permettere la crescita assonale con le modalità atte a garantire la ricostituzione delle vie di trasmissione.

Con tale intento la rimozione della cicatrice è sicuramente necessaria e va approntata riducendo al minimo il rischio di indurre nuovi danni.

In questo contesto il lavoro sperimentale in fase preclinica ovvero con modelli animali è essenziale ma al contempo molto complesso dato che animali di piccole dimensioni presentano difficoltà pratiche di intervento e animali più grandi presentano delle problematiche sia di stabulazione e costi che sono fuori dalla portata della gran parte dei laboratori che conosco.

Infine la traduzione dei risultati ottenuti in fase preclinica è molto difficile per una tipologia di pazienti come quelli che hanno la lesione spinale la cui patologia è molto variabile a causa del fatto che il danno è molto casuale e quindi porta a differenze tra un paziente e l’altro”.

4.      Si può applicare la vostra ricerca alle Lesioni Spinali Croniche?

“L’applicabilità delle cellule nel liquido amniotico in modelli di lesione spinale cronica deve essere verificata sperimentalmente quindi a priori posso dire che tale intervento può essere approntato ma ovviamente con gli appropriati aggiustamenti di protocollo sperimentale. Infatti, mentre nel modello acuto noi abbiamo una azione prettamente trofica, nel caso del cronico si potrebbe eventualmente ipotizzare un trattamento locale a livello della cicatrice allo scopo di verificare se queste cellule possano contribuire a modificare la cicatrice stessa e a riformare le vie danneggiate sia differenziandosi in cellule del sistema nervoso centrale (neuroni, oligodendrociti e astrociti) oppure inducendo le cellule staminali endogene a differenziarsi in cellule mature. In questo contesto il precedente trattamento con condroitinasi potrebbe migliorare la riuscita dell’esperimento.”

5.      Avete collaborazioni con altri istituti di ricerca? Quali?

“Come ho accennato nella nostra discussione in istituto, ritengo che le collaborazioni siano la linfa vitale della ricerca, in questi anni ho avuto collaborazioni con vari gruppi di ricerca e consorzi. In primis metterei il progetto Fungenes: Functional Genomic of non Human Embryonic Stem Cells; finanziato dalla Comunita Economica Europea, VI Programma Quadro. (500000 € per 3 anni) (in collaborazione con il Prof. A. L. Vescovi di cui ero il deputy (viceresponsabile)). Tale progetto si prefiggeva di studiare caratteristiche proliferative e differenziative delle cellule staminali. Tale progetto coinvolgeva e raggruppava circa una ventina di istituti in tutta Europa e fondamentalmente è quello che mi ha permesso di meglio affinare le mie conoscenze sulle cellule staminali.

-Studio del recupero funzionale indotto dal trapianto di cellule staminali neurali in modelli animali acuti di contusioni del midollo spinale; finanziato dalla Fondazione Cariplo. (300000 € per 2 anni) (Coordinatore il Prof. A. L. Vescovi).

E’ stato un progetto che mi ha poi introdotto nel mondo della lesione spinale, e al quale devo, grazie all’aiuto del Prof. Vescovi, la scelta nel proseguire la ricerca nelle patologie neurodegenerative

-Cellule staminali neurali: un nuovo approccio cellulare per l’atrofia muscolare spinale; finanziato dalle Fondazioni Onlus Asamsi e Famiglie SMA Italia. (Responsabile con il Prof. A. L. Vescovi).

Inoltre sto attualmente collaborando per il progetto “Ruolo delle cellule staminali nella terapia del glaucoma” (il glaucoma è una patologia neurodegenerativa) con il Professor Luca Mario Rossetti, che svolge attività clinica e di ricerca nel mio Dipartimento e con la dottoressa Valentina Massa (che lavora sempre nel mio dipartimento) per uno studio su patologie neurologiche.”

6.      Quali sono i passi necessari per arrivare a sperimentare sull’uomo le vostre scoperte scientifiche?

“Per poter iniziare una fase clinica 1-2 e che cioè preveda lo studio della sicurezza (che molto probabilmente questo tipo di cellule hanno appartenendo alla classe delle mesenchimali che sono già ampiamente state testate in vari trial clinici) e di efficacia occorrerà prima la validazione da parte di altri laboratori dei risultati che abbiamo ottenuto. Successivamente occorrerà derivare le cellule in modo che siano compatibili con il trapianto nell’uomo ovvero trattarle in condizioni di Good manifacturing practice (GMP) che prevede l’utilizzo di materiali “human grade” allo scopo di ridurre il rischio per il paziente (per patologie prioniche come il ben noto Morbo della mucca pazza ad esempio). Questa procedura è attualmente fuori dalla nostra portata economica dato che necessita di condizioni di sterilità e di purezza che non possiamo ottenere a meno di non costruire dei laboratori appositi.”

7.      Esiste qualche ostacolo particolare che rallenta il vostro lavoro?

“L’attuale situazione finanziaria del nostro paese in cui i tagli hanno colpito molti settori economici e culturali strategici è vissuta, da noi ricercatori, con molta apprensione. Se è pur vero che i finanziamenti debbano essere assegnati a coloro che la ricerca la fanno e quindi la premialità all’eccellenza è una condizione essenziale in questa contingenza (italiana e mondiale), i tagli purtroppo negli ultimi anni hanno toccato anche i gruppi o i ricercatori che producono lavori di qualità. Non c’è quindi che da sperare che questo trend cambi e che eventualmente organizzazioni e associazioni (onlus) possano aiutare finanziando progetti mirati”.

Ringraziamo il dr. Daniele Bottai per la disponibilità e il tempo che ci ha dedicato.

 Cure Girls Arcangela, Marina e Loredana

Our Visit to the Center for Nanomedicine and Tissue Engineering in Milan

We were recently invited by Dr. Fabrizio Gelain  to visit the new ‘Center for Nanomedicine and Tissue Engineering’ (CNTE) located at the Niguarda Hospital in Milan, Italy.

dr. Fabrizio GelainDr. Gelain is co-director of the center and has been working on Spinal Cord Injury (SCI) research for several years. He showed us the new labs and gave us an interview to explain what his team is working on with regards to a cure for SCI.

1) Could you tell us about this new research center and the nanotechnologies that your team is working on?

“Nanotechnology is the production and/or manipulation of materials that have a dimension between 1 and 100 nano-meters; in other words 1 nano-meter = 1 millionth of a millimeter.

At the Center for Nanomedicine and Tissue Engineering (CNTE) we design, synthesize, characterize nanostructured bio-prosthesis that can be naturally absorbed by the body. Here we utilize principles of nanomedicine, physics, materials science, cellular biology and medicine to develop prosthesis implantable in living organisms to repair damaged tissues. Often nanotechnologies are only considered for creating nanoparticles for a controlled release of drugs, for some tumor therapies or for imaging techniques. Our work is dedicated to other important sections of nanomedicine. We synthesize scaffolds that may also contain cells to repair important lesions of biological tissues. We also conduct three-dimensional cell culture experiments in vitro: a more complex paradigm than 2D but much more reliable to predict results in living organisms. That allows us to reduce animal studies which is very important from an ethical point of view and it also significantly reduces time and costs of research.”

2)  How nanotechnology can be used to cure spinal cord injury (SCI)?

“In the case of severe injuries, a portion of biological tissue is lost and it becomes useful to use a scaffold rather than just a cell therapy approach as it is necessary to provide physical and biochemical guidance for endogenous tissue to make regeneration happen. At the same time a scaffold keeps in the right place transplanted cells and guides them to a proper engraftment with the host tissue. In case of SCI very often there is a formation of scar tissue and also of a cyst. In this damaged area it becomes very useful to use a scaffold. Furthermore we have the possibility to design our scaffolds at a molecular level. That allows us to control the integration of the scaffold with the biological tissue, to control the release of drugs contained in the scaffold and to transplant more accurately cells which are useful for regeneration.”

3)  What is the difference between acute SCI and chronic SCI?

“In humans SCI is considered acute in the first few days (up to few weeks) after the lesion. Then it becomes “sub-acute” and finally chronic and stable. When exactly SCI can be considered chronic is still controversial, but there is a growing consensus that SCI can be considered chronic after one year. From a pathophysiological perspective acute and chronic lesions are extremely different. Acute SCI has hematoma, damaged but still present tissue, a strong immune response etc.. Usually (except in very severe lesions such as a gunshot wound) there is still the presence of tissue structure that will be lost gradually moving toward the chronic stage. In this phase interventions have the goal to prevent the secondary damage using mechanisms of neuroprotection. After the cascade of events that starts with SCI (also known as “secondary damage”) we have the chronic lesion that has a greater loss of nerve fibres, a glial scar all around the lesion and often in humans there are also internal cavities. The cysts and the gliotic scar are a physical and chemical barrier to regeneration.  Moreover at this stage the lesion is much bigger in comparison to the acute lesion and that makes regeneration even more difficult.”

in laboratorio4)  Research on acute or chronic SCI, advantages and disadvantages: what have you chosen to focus on?

“Doing research on acute SCI is very different than doing chronic SCI research. Chronic has more hurdles; scientific, logistical and also in terms of resources. In case of acute SCI the goal is to find a cure for future patients, while in chronic SCI we try to find a cure for people that already suffer the consequences of SCI. Often both basic and clinical research focus on acute SCI as experimental paradigms are shorter (a few months instead of up to a year), costs are lower and usually lesions are less severe since the secondary damage has not yet occurred. This can lead to positive results but in very specific conditions of patients to come. We have done and published research on acute lesions to get a rapid screening of new solutions in case of multiple variables (= possible solutions) that we can change thanks to the nanotechnologies. Preliminary results in short term are essential, but for 12 years our main focus has been chronic SCI even given all the difficulties we have mentioned including longer timeframes for each experiment and much higher costs). Nonetheless we keep our mind on the real significance and translationality of results we have obtained and on the ones we hope to achieve.”

5)  What is your approach to solve the scar problem?

“The answer to this question is very complex and above all isn’t clear yet to us and to the scientific community in general. In many studies enzymes have been used to degrade essential components of the scar. This is a good approach to make the scar matrix weaker. In our case we have the necessity to have a space to insert the components of our scaffold (currently made of micro-tubes of about 200 micron in diameter) and at the moment we do a pre- treatment to weaken the scar which then needs to be partially removed surgically. Clearly this procedure is critical: the lesion has to be first studied in details using the most modern imaging techniques and then the previously weakened scar can be partially removed but leaving a safety layer of tissue to avoid damaging intact nervous tissue. Then one more treatment to weaken the scar (still using enzymes) can be done to facilitate axons to enter the implant. To be able to undertake this intervention it is essential to first do an accurate three-dimensional study of the lesion site.”

6)  In 2011 you published in ACS Nano the results of a study in which rats with chronic SCI have  shown a significant recovery. What progress has been made since then?

“We have continued to improve the approach that we used in the above mentioned study,  which was also just a starting point for the international scientific community. Indeed our results have been listed among the 5 more important recent discoveries in nanomedicine.  (Scientific American  ).

We have gone forward by improving chemical components and biological functionalities of the biomaterials and we have developed additional interventions (before and after surgery) that are essential to obtain stronger results. We have had better preliminary results, but because of the time and costs of this research we don’t have trustable results to share yet. Our general strategy consists of synergically merging the promising strategies already published by others with our discoveries (multidisciplinary approach) to develop a more complex but more promising therapy. We will keep presenting at symposia and publishing in international scientific journals our results so that they can be analyzed impartially by the scientific community and patients.”

7)  Do you collaborate with other groups of research?

“We have several national and international collaborations. In Italy the most important ones are with the Casa Sollievo della Sofferenza Hospital from S. Giovanni Rotondo with which we share many important parts of our projects and the Cell Factory of Terni. Additionally, we collaborate with the University of Milan-Bicocca, the University of Trieste and others. Internationally we have important collaborations with scientific teams at the Massachusetts Institute of Technology, the Lawrence Berkeley National Lab, the University of Alberta and the University of Florida. We remain very open to new collaborations since it is when different disciplines merge that the best results occur.  I also believe that regeneration of the spinal cord is a very complex target, well beyond a single approach.”

8)  What are the necessary steps to bring your discoveries to clinical trials?

“Before we can start clinical trials our results needs to be replicated by independent labs. Meanwhile, as I have said at the moment we are improving our approach with the goal to improve the results and make it applicable on people. Then we will need to produce our bioprostheses to standard GMP (Good Manufacture Practice) to meet the quality criteria necessary for clinical application. Lastly we will have to apply to ethical and medical authorities and do all the necessary paper work to get the authorization to conduct clinical trials.”

9)  Is there any particular obstacle?

“Unfortunately the main obstacle is the lack of funding and that is slowing down our progress. We have a tremendous potential but we proceed at a much slower speed than we could.”

10)   What economic resources are necessary to get ready for clinical trials?

“That is a very critical question; I can say that in terms of infrastructures we have made good progress in the last few years. The critical aspect at the moment is to hire more people to do the necessary research work. We will then need funding to produce GMP bioprostheses and finally to do all the paper work to get the authorization to do a phase I clinical trial. All this will require a few million Euros.”

We thank Dr. Gelain for his precious work and for giving us the opportunity to visit the center and for answering our questions.

Cure Girls Loredana and Arcangela

 

VISITA AL NUOVO CENTRO DI NANOMEDICINA E INGEGNERIA DEI TESSUTI PRESSO L’OSPEDALE NIGUARDA DI MILANO

Qualche giorno fa siamo state invitate dal dr. Fabrizio Gelain  a visitare il nuovo Centro di Nanomedicina e Ingegneria dei Tessuti (Center for Nanomedicine and Tissue Engineering – CNTE) presso l’ospedale Niguarda Ca’Granda di Milano.

dr. Fabrizio GelainIl dr. Gelain, che è co-direttore del centro e da tempo si occupa di ricerca per la cura delle lesioni spinali, ci ha mostrato i nuovi laboratori e ci ha gentilmente concesso un’intervista per spiegarci il lavoro del suo team.

1)  Dr. Gelain, ci descrive brevemente questo nuovo centro di ricerca e in cosa consistono le nanotecnologie di cui si occupa il suo team?

“Per nanotecnologia si intende la produzione o manipolazione conscia di tutto ciò che ha almeno una delle tre dimensioni tra 1 e 100 nanometri: per rendere l’idea un nanometro è un milionesimo di millimetro.

Al “Center for Nanomedicine and Tissue Engineering” (acronimco CNTE) ci occupiamo della progettazione, sintesi e caratterizzazione di bioprotesi nanostrutturate bioriassorbibili. Utilizziamo cioè principi della nanomedicina, della fisica, della scienza dei materiali, della biologia cellulare e della medicina per sviluppare e testare protesi impiantabili negli organismi viventi, con lo scopo di ricostruire i tessuti lesionati: protesi che una volta impiantate lentamente vengono degradate dal corpo. Spesso le nanotecnologie vengono ristrette alla “sola” progettazione di nanoparticelle per il rilascio controllato di farmaci di varia natura o per terapie specifiche per il trattamento di tumori e per imaging mirato. Senza voler togliere nulla a queste applicazioni in realtà c’è molto di più, e di parte di quel di più (peraltro molto ampio) ci occupiamo noi. Da un lato abbiamo la ricostruzione di tessuti utilizzando supporti (chiamati anche “scaffold”) con eventualmente al loro interno cellule per la ricostruzione di lesioni importanti di tessuto biologico; dall’altro conduciamo sperimentazioni in vitro su colture cellulari tridimensionali, un paradigma sperimentale un po’ più complicato di quelli standard in 2D ma più affidabile in termini di predittività  dei risultati ottenuti in laboratorio rispetto a quelli negli organismi viventi. In sostanza, avendo modelli di tessuto ibrido in laboratorio che risultano essere più affidabili è possibile diminuire drasticamente la sperimentazione animale: e questa è un’ottima cosa sia dal punto di vista etico che da quello di costi, tempistiche e riproducibilità dei risultati.”

2)  Come possono essere impiegate le nanotecnologie nella cura per le lesioni spinali?

“Il principio tramite il quale è opportuno utilizzare uno scaffold e non la sola terapia cellulare è basato sul fatto che in caso di lesioni “importanti” dove vengono a mancare porzioni intere di tessuto biologico è necessario un supporto fisico in grado di guidare (sia fisicamente che biochimicamente) il tessuto endogeno a rigenerarsi ed eventualmente anche a mantenere in posizione le cellule eventualmente trapiantate, guidandone la loro integrazione con il tessuto ospitante. Nelle lesioni spinali purtroppo si vengono spesso a formare significative lesioni cicatriziali ed anche vere e proprie cisti acquose: in questo caso quindi, in tale spazio danneggiato irreparabilmente è auspicabile utilizzare degli scaffold. A questo va inoltre sommata la possibilità di progettare i nostri supporti a livello molecolare, cosa che ci consente un grado di precisione non indifferente e potenzialità non comuni. Possiamo difatti pilotare l’interazione degli scaffold con il tessuto biologico, possiamo progettare un rilascio nel tempo di farmaci provenienti dall’impianto, e possiamo trapiantare con maggior cura delle cellule utili alla rigenerazione.”

3)  Può spiegare la differenza tra una lesione acuta e una lesione cronica?

“Certamente, nell’essere umano una lesione spinale può considerarsi acuta nei primi giorni (fino a poche settimane) dalla lesione stessa, dopodiché’ essa diventa sub-acuta e cronicizza fino a diventare appunto cronica e stabile. L’inizio della fase cronica in ambito umano è piuttosto oggetto di controversie: tuttavia ha preso luogo l’ipotesi che la lesione sia cronicizzata dopo un anno dalla lesione iniziale, mentre tra le due fasi (acuta e cronica) la lesione viene considerata appunto come sub-acuta. Dal punto di vista patofisiologico i due tipi di lesione sono estremamente differenti: nel primo caso abbiamo la presenza di ematomi, versamenti e lacerazioni dovuti al trauma iniziale, una citoarchitettura danneggiata ma ancora presente, ed una forte risposta immunitaria in corso. Solitamente, a meno di lesioni traumatiche particolarmente gravi (ad es. da arma da fuoco) nelle lesioni acute si ha ancora buona parte l’impalcatura del tessuto nervoso che successivamente si andrà a perdere con il cronicizzarsi della lesione stessa ancora presente e su questo si può intervenire limitando i danni del decorso standard della lesione midollare: si puo’ andare cioè anche a salvaguardare porzioni di tessuto circostanti la lesione ed ancora funzionali sfruttando meccanismi di neuroprotezione. Dall’altra parte, a seguito di una complessa cascata di eventi riassunta col nome di danno secondario, abbiamo nella lesione cronicizzata una perdita ben maggiore di fibre nervose, la deposizione di tessuto cicatriziale tutto attorno alla lesione e spesso nell’uomo anche la formazione di cavità interne. La cisti/cicatrice gliotica così ottenute costituiscono una barriera sia fisica che chimica ad ogni tentativo di rigenerazione nervosa: a questo punto la lesione si è notevolmente ingrandita rispetto all’insulto iniziale, maggiori sezioni di tessuto sono andate perdute e quindi la rigenerazione è ancor più difficile.”

in laboratorio4)  Ricerca su lesione acuta o su lesione cronica: Che scelta avete fatto voi e perché?  Vantaggi e svantaggi.

“Fare ricerca su lesione acuta o cronica fa molta differenza, sia dal punto di vista degli ostacoli “scientifici” da dover affrontare che da quelli logistici e di risorse. Nel primo caso anzitutto vuol dire cercare una cura per i futuri pazienti, nel secondo invece vuol dire cercare di trovare una soluzione per coloro che già oggi soffrono delle nefaste conseguenze di una lesione spinale. Spesso però sia sperimentazioni cliniche che ricerche scientifiche sono orientate al primo caso: e questo perché i paradigmi sperimentali durano molto meno (alcuni mesi invece che anche un anno), i costi della sperimentazione sono più contenuti, e mediamente le lesioni sono meno gravi poiché devono ancora cronicizzarsi. Questo a volte è uno specchietto per le allodole perché vengono decantati risultati che in realtà sono validi solo in particolari condizioni…in breve per alcuni dei pazienti a venire. Anche noi abbiamo condotto e pubblicato ricerche sulle lesioni acute per avere rapidi screening di nuove soluzioni e, nel caso delle molteplici variabili (=possibili soluzioni) che possiamo cambiare grazie alle nanotecnologie, risultati preliminari in breve tempo sono indispensabili ma siamo da 12 anni  impegnati soprattutto su quelle croniche: con tutte le difficoltà sopramenzionate che ne conseguono (tempi sperimentali molto più lunghi e costi triplicati), ma soprattutto con un occhio alla reale significatività e traslazionabilità dei risultati ottenuti o ancora da ottenere.”

5)  Come pensate di risolvere il problema della cicatrice?

“La domanda è breve ma la risposta è molto complessa e soprattutto non è certa ne’ a noi ne’ alla comunità scientifica in generale. Vi sono trial clinici e un gran numero di sperimentazioni facenti uso di enzimi per la degradazione dei componenti fondamentali della cicatrice stessa: questo è un ottimo spunto mirato ad indebolire la matrice. Noi di necessità richiediamo uno spazio per poter inserire i componenti del nostro scaffold (attualmente costituito da micro-tubi di circa 200 micron di diametro), ed attualmente per fare ciò pratichiamo un pre-trattamento per indebolire la cicatrice, che poi per il momento dev’essere rimossa parzialmente per via chirurgica. Ovviamente questa è una procedura rischiosa se condotta “ciecamente”, dovrebbe risultare invece una possibilità concreta nel prossimo futuro nel momento in cui ogni singola lesione viene prima studiata nel dettaglio con le più moderne tecniche di “imaging” attualmente a disposizione e dove viene poi prevista una rimozione parziale della cicatrice preventivamente “indebolita”, lasciando comunque un margine di sicurezza (una cicatrice di cuscinetto) tra il tessuto “sano” e la parte più interna che viene invece rimossa. Successivamente un’ulteriore trattamento di indebolimento sempre tramite enzimi può essere previsto in modo da facilitare l’ingresso delle fibre nervose nell’impianto. Chiaramente in questo caso un’accurata ricostruzione tridimensionale della lesione è indispensabile per poter intervenire chirurgicamente con cognizione di causa.”

6)  Nel 2011 la rivista ACS Nano ha pubblicato i risultati di una vostra ricerca in cui siete riusciti ad ottenere un recupero funzionale significativo in ratti con lesione spinale cronica, che progressi sono stati fatti da allora?

“Abbiamo continuato a migliorare l’approccio di allora che è stato come un incipit iniziale anche per il resto della comunità scientifica internazionale. Basti pensare che tali risultati sono stati annoverati tra le 5 più importanti recenti scoperte della nanomedicina  (Scientific American).  Ci siamo spinti oltre da un lato andando a migliorare ulteriormente la componente chimica e la funzionalità biologica dei biomateriali utilizzati,  dall’altro andando a includere trattamenti aggiuntivi (pre e post-operatori) che risultano indispensabili per avere risultati ancor più convincenti. I miglioramenti riscontrati nei risultati preliminari sono già convincenti ma, purtroppo per i motivi di cui dicevo prima tra cui costi e lunghezza della sperimentazione, è preferibile che non mi sbilanci ora poiché la sperimentazione è ancora in corso. Filo conduttore nostro è comunque quello di integrare più strade o già percorse da altri o trovate da noi e fonderle in maniera sinergica in un’unica terapia complessa (e multi-disciplinare) ma dai risultati ancor più promettenti. Altra prassi ben consolidata, per correttezza sia verso la comunità scientifica sia verso chi legge questo pezzo e tutti gli eventuali futuri pazienti, è quella di comunicare e discutere solo di risultati definitivi e pubblicati in riviste scientifiche internazionali, ovvero approvati da terze parti, in modo da garantire l’imparzialità della valutazione scientifica. Noi non abbiamo ricette magiche e/o segrete.”

7)  Avete collaborazioni con altri istituti di ricerca?

“Certamente, tra le nostre collaborazioni più importanti annoveriamo l’Ospedale di Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, con il quale condividiamo sezioni importanti dei nostri progetti, e la “Cell Factory di Terni”. Tra le altre collaborazioni rilevanti abbiamo quelle con gruppi di ricerca appartenenti al Massachusetts Institute of Technology, al Lawrence Berkeley National Lab, alla University of Alberta, all’Università di Milano-Bicocca, alla University of Florida, alla Edmonton University, all’Università di Trieste ed altri.  Siamo inoltre sempre intenzionati a collaborare con nuovi gruppi poiché, sebbene la multi-disciplinarietà del centro sia comprovata, è comunque necessario collaborare per raggiungere i massimi obiettivi possibili. Spesso invece si assiste a un rinchiudersi dentro la propria “ricetta”, che per quanto questa possa essere promettente è cosa alquanto sbagliata e limitante perché 1) spesso le intuizioni più dirompenti avvengono per l’intrecciarsi di più campi del sapere e 2) il target della rigenerazione delle lesioni spinali è estremamente complesso e ben al di sopra di un solo tipo di approccio.”

8)  Quali sono i passi necessari per arrivare a sperimentare sull’uomo le vostre scoperte scientifiche?

“Indubbiamente per arrivare alla sperimentazione clinica servono risultati da enti terzi in modo da avere comprovata la riproducibilità del nostro approccio. Noi come dicevo stiamo nel frattempo apportando ulteriori migliorie sempre nell’ottica di verificare la traslazionalità del nostro approccio in ambito clinico. Detto questo dovremo produrre le nostre bioprotesi in standard GMP per soddisfare i criteri di qualità necessari per la sperimentazione clinica. Se e solo se tutte queste fasi saranno soddisfacenti passeremo all’ultimo passaggio fondamentale, avvieremo tutte le procedure burocratiche per ottenere le autorizzazioni del caso. Ad ogni modo è necessario ancora del tempo per arricchire la mole dei nostri dati. In modo da convogliare gli sforzi ed i costi (umani e non) della sperimentazione clinica verso una terapia potenzialmente promettente e sicura per il paziente.”

9)  Esiste qualche ostacolo particolare?

“Purtroppo al momento è triste dirlo, ma l’ostacolo principale è l’ottenimento dei fondi per finanziare le nostre ricerche: abbiamo un tremendo potenziale ma con fondi contenuti andiamo a “marcia ridotta” e questo allunga inevitabilmente i tempi.”

10) Che risorse economiche sono necessarie per arrivare ad essere pronti alla prima sperimentazione sull’uomo?

“La domanda è alquanto delicata ma rispetto ad anni fa possiamo dire che grazie alle infrastrutture che abbiamo partiamo da un buon punto. Per quanto riguarda la ricerca necessitiamo fondi per mantenere ed espandere il nostro personale (e quindi la rapidità con cui otteniamo i risultati). A questi successivamente vanno aggiunti  fondi dedicati per la produzione esclusiva in regime GMP delle bioprotesi ed ovviamente per le pratiche di ottenimento dell’ok per la sperimentazione clinica di fase 1. A questo livello purtroppo il conto è salato e già dell’ordine di alcuni milioni di euro.”

Ringraziamo il dr. Gelain per il suo prezioso lavoro e per la disponibilità e l’opportunità che ci ha concesso.

 Cure Girls Arcangela e Loredana

Marina e Loredana di nuovo insieme per Ride For Life 2013

Vi Aspettiamo sabato  16 e domenica 17 novembre ad Ottobiano per RIDE FOR LIFE 2013! Lottiamo tutti Insieme per Sconfiggere la Paralisi!

Avatar di FuoridibiciFUORIDIBICI

promoRideForLife2013

Ieri noi di Fuoridibici siamo stati alla Pista South Milano – Circuito Internazionale di Ottobiano (PV) dove, in occasione delle finali del Campionato Italiano e International Series Supermoto, era presente lo stand dell’Associazione Marina Romoli Onlus per promuovere Ride For Life 2013, la manifestazione a scopo benefico che avrà luogo il 16 e 17 novembre proprio su questo circuito.

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Travelling With Spinal Cord Injury is a Nightmare!

travel barbara 2Travelling is one of the things I love the most… and it is one of the things I miss the most in my life. I love to travel but since my spinal cord injury I can do it only if there are some conditions. I made just one big journey after my injury… I went to Australia two years ago… that was my first real trip I made in my life and I could make it thanks to my parents, I can’t move anywhere without them and specially without my mother’s care (except of some circumstances). During my life with my injury I always had to give many trips up because I couldn’t have the assistance I need, and this is something that made me suffer in silence several times.

By in my experience I can say that travelling itself is not impossible for people with spinal cord injury, but it needs proper organization before leaving. About my journey to Australia, for example, I had a catheter with a bag to collect urine because I coudn’t use the toilet on the plane; this is one of the problems a spinal cord injuried has to deal with. Then I would have to avoid the risk of causing pressure sores because of many hours sitting, but the seat was too narrow to put my wheelchair cushion on, so I had to travel 12 hours without any protection. Luckily everything went fine, but you can’t count on fortune every time… this is something that people with spinal cord injury can’t afford. I’ve longed for a trip to Australia for many years and I am grateful to have had a dream come true… but that can’t be repeated even if I desire it much more than the first time.

Saint Augustine said: “The world is a book, and those who do not travel read only a page”

I can add that many people have no possibility even only to open that book. 

We need a Cure for Chronic Spinal Cord Injury!

Cure Girl Barbara

 

Viaggiare avendo una Lesione Spinale è un incubo!

travel barbara 2Viaggiare è una delle cose che amo di più … ed è anche una delle cose che mi manca maggiormente nella vita. Ho amato viaggiare da sempre, ma a causa della mia Lesione spinale posso farlo solo in presenza di alcune condizioni. Ho fatto solo un grande viaggio dopo il mio infortunio, due anni fa sono andata in Australia; questo è stato il mio primo vero viaggio e ho potuto farlo solo grazie ai miei genitori. Salvo poche eccezioni infatti, non posso muovermi da nessuna parte senza di loro e soprattutto senza l’assistenza di mia madre. Durante la mia vita da mielolesa ho sempre dovuto rinunciare a molti viaggi perché non ho potuto contare sull’assistenza che mi serviva, e questo è qualcosa che mi ha fatto soffrire, molte volte in silenzio .

Con la mia esperienza posso dire che viaggiare in sé non è impossibile per le persone con lesione spinale, ma necessitiamo di una vera e propria organizzazione prima di partire. A proposito del mio viaggio in Australia, per esempio, mi sono dovuta accontentare di un catetere fisso attaccato ad una sacca per la raccolta delle urine perché non potevo usare il bagno sull’aereo; questo è uno dei problemi che un mieloleso deve affrontare. Poi avrei dovuto evitare il rischio di piaghe da decubito a causa del cospicuo numero di ore che ho passato da seduta, ma il sedile era troppo stretto per metterci sopra il cuscino della mia sedia a rotelle, così ho dovuto viaggiare 12 ore senza alcuna protezione. Per fortuna tutto è andato bene da questo punto di vista, ma non si può contare sulla fortuna ogni volta … Questa è una cosa che le persone con una lesione spinale non possono permettersi. Ho desiderato il mio viaggio in Australia per molti anni e sono grata di aver potuto realizzare un sogno … ma tutto ciò non può essere ripetuto, anche se lo desidero ancora di più della prima volta.

Sant’Agostino disse: “Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”

Posso aggiungere che molte persone non hanno nemmeno la possibilità di aprire quel libro.

C’è bisogno di una cura per le lesioni spinali croniche!

Cure Girl Barbara